venerdì 13 ottobre 2017

La perfezione della neve

Sono molti, tantissimi quelli che parlano di poesia (a cominciare dai poeti stessi) ma sono pochi, molto pochi quelli che si soffermano sulla creazione letteraria; molti cioè quelli che si concentrano sul modo di fare poesia e sulla...vita dei poeti ma pochi quelli interessati alla produzione del testo quale solidificazione di un linguaggio e al perché dell’esperienza poetica in sé.
Per comprendere la situazione in cui si trovano questi pochi- che è probabilmente anche la ragione per la quale si è in così pochi- vorrei ricorrere ad una storiella mutuata da David Foster Wallace [1]:

<< Ci sono due fiocchi di neve che scendono giù dal cielo, a un certo punto, giunti in prossimità del suolo, uno fa all’altro: “Ehi, ma cos’è tutta quella roba bianca laggiù? Chiediamo un po’ a quell’albero lì!” Alla domanda, l’abete, canzonandoli, risponde:” Ma...sciocchi che non siete altro, come fate a non saperlo! È neve, che altro?”. I due fiocchi continuano la discesa poi uno guarda l’altro e fa: “Ma, che cavolo è la neve?”>>.

Parlare dell’esperienza poetica ci trova nella stessa situazione dei fiocchi, ignari di quello che c’è in fondo alla...pagina e approssimativamente informati (coscientemente o inconsciamente) su quello che c’era prima dell’attuale stato di fiocchi. Ma qui non si tratterà di “parlare”, perchè l’esperienza poetica è, prima di ogni speculazione, di ogni ragionamento, d’ogni spiegazione: è qualcosa che accade tra la contemplazione e la descrizione, tra l’ascolto e la scrittura.
Cosicché se a un punto estremo del polo (l’Ascolto) ci sono suoni, gesti, sogni, estasi e silenzi mistici, dall’altro (la Scrittura) ecco abbondare le forme solide di tutto questo. Portando alle estreme conseguenze il parallelismo: da una parte c’è il vapor acqueo cioè qualcosa di impalpabile come l’intuizione o l’ispirazione; e dall’altra il ghiaccio, la forma solida del linguaggio, la scrittura (poetica).

Ci viene quindi utile (e in soccorso) l’idea di Rolland de Renéville [2] di seguire una certa strada per comprendere la realtà dell’Esperienza Poetica e, con essa, pervenire ad una migliore coscienza di sé e della propria collocazione nel mondo: trasformarsi in un fiocco che acquista consapevolezza d’essere anche acqua e neve.

La strada è quella di equiparare la poesia alla mistica.

Il misticismo (la poesia?) insegna che tutto nell’universo fisico ha una sua controparte spirituale (l’acuta presenza di quello che non vediamo, tocchiamo, ascoltiamo). La neve in questo senso ha controparti spirituali molto marcate ed evidenti: il candore, la forza leggera, il silenzio.
I meteorologi rappresentano la neve come il risultato di un campo di pressioni e dei livelli di precipitazione; i fisici ne descrivono nel dettaglio i cristalli che ne compongono i fiocchi e i processi di nucleazione e crescita che ne hanno determinato formazione e morfologie.
Il mistico (il poeta?) avverte l’energia che la neve manifesta e le sfaccettature della nostra psiche che essa illumina, la parte di un tutto unitario e ciclico.
L’acqua, in ogni sua forma, è stata sempre simbolo della conoscenza: la pioggia che scende rappresenta la trasmissione di conoscenza da un luogo alto a un luogo più basso. Il ghiaccio è una trasmissione di informazione solidificata. La neve rappresenta questo stato intermedio tra l’acqua che scorre e il ghiaccio solido. Per apprezzare le implicazioni spirituali della neve occorre richiamare alcune sue caratteristiche (evidentemente sotto gli occhi di tutti!).
Quanti fiocchi servono per fare la neve? Quante totalità?

Innanzitutto un fiocco, per formarsi, necessita, oltre che ovviamente di aria fredda, di altre due componenti fondamentali: goccioline d’acqua (vapore) e un nucleo, un embrione. Un intuizione.
(Tutto, anche la conoscenza , come ci ricorda Kant, inizia per intuizioni, procede per concetti e culmina in idee).
Questo nucleo può essere una particella microscopica di polvere sospesa nell’aria. Perciò la neve è la sintesi ideale tra aria, acqua e terra. Centinaia e centinaia cristalli di ghiaccio formano i fiocchi che pur essendo entità separate si aggrappano l’uno all’altro per formare una cosa sola. La neve. Ecco in cosa consiste la sua perfezione.

Quale è il simbolismo di tutto questo nel flusso di co(no) sc(i|e)nza?
Quando un messaggio deve fluire dall’inconscio allo stato cosciente o più ”semplicemente” da un maestro ad un discepolo ( o se lo credete: dal poeta che scrive a chi legge!) non sempre questo avverrà in un modo fluido, acquoso; anzi, a volte conviene proprio che questo flusso avvenga in modo lento e graduale magari isolando o ricorrendo ad un PUNTO (un nucleo) fermo da utilizzare come embrione in grado di sostenere una crescita (metafore, aneddoti, storie, analogie sono questi i punti).
Questo è il Principio della psicoanalisi indipendentemente dalle sue differenti manifestazioni operative (approccio freudiano, junghiano o lacaniano).
Se la trasmissione del messaggio, la presa di coscienza, viene effettuata con modi rigidi, freddi o troppo sbrigativi, cioè con una pioggia incessante e torrenziale, qualunque tipo di terreno verrà solo sommerso ed ogni seme spento.
Ovviamente per Freud la neve è legata alla sfera sessuale-narcisistica e indica l’incapacità di provare piacere per via di istinti repressi. Per Jung la neve nei sogni rappresenta l’isolamento del sognatore molto spesso introverso che non ha abbastanza energia vitale per affrontare la vita.
Anche Lacan attribuisce alla neve una valenza narcisistica anche se, a differenza di Freud, lui individua due stadi di narcisismo: quello che fa riferimento alla propria immagine fisica e alla unità del soggetto che ne deriva (mi piaccio o no?) e quello associato al rapporto di riflesso con l’altro: quando l’immagine speculare appare, si stabilisce un canale di trasferimento della libido del corpo nell’oggetto e tale trasferimento risulterà impossibile a chi ha una percezione fallimentare del proprio corpo!

Dopo questa (per molti, immagino, inconcludente) premessa torniamo all’idea di de Renéville: la poesia presentata come una immagine , un’analogia della mistica o se preferite della psiche (Lacan stesso diceva che l’inconscio è strutturato come un linguaggio!).
Per farlo prendiamo la famosa poesia di Andrea Zanzotto, La perfezione della neve [3] e applichiamo ad essa il metodo di de Renéville.


Quante perfezioni, quante (1)
quante totalità. Pungendo aggiunge.
E poi astrazioni astrificazioni formulazione d’astri
assideramento, attraverso sidera e coelos
assideramenti assimilazioni –
nel perfezionato procederei
più in là del grande abbaglio, del pieno e del vuoto,
ricercherei procedimenti
risaltando, evitando
dubbiose tenebrose; saprei direi. (10)
Ma come ci soffolce, quanta è l’ubertà nivale
come vale: a valle del mattino a valle
a monte della luce plurifonte.
Mi sono messo di mezzo a questo movimento-mancamento radiale
ahi il primo brivido del salire, del capire,
partono in ordine, sfidano: ecco tutto.
E la tua consolazione insolazione e la mia, frutto
di quest’inverno, allenate, alleate,
sui vertici vitrei del sempre, sui margini nevati
del mai-mai-non-lasciai-andare, (20)
e la stella che brucia nel suo riccio
e la castagna tratta dal ghiaccio
e – tutto – e tutto-eros, tutto-lib. libertà nel laccio
nell’abbraccio mi sta: ci sta,
ci sta all’invito, sta nel programma, nella faccenda.
Un sorriso, vero? E la vi(ta) (id-vid)
quella di cui non si può nulla, non ipotizzare,
sulla soglia si fa (accarezzare?).
Evoè lungo i ghiacci e le colture dei colori
e i rassicurati lavori degli ori. (30)
Pronto. A chi parlo? Riallacciare.
E sono pronto, in fase d’immortale,
per uno sketch-idea della neve, per un suo guizzo.
Pronto.
Alla, della perfetta.
«È tutto, potete andare.»

Qui, (lo capiamo subito), non stiamo parlando di poesia come lusso o come distrazione ma di poesia come strumento della conoscenza (comprensione di sé e del mondo e del posto che in esso l’io ha): in un sol colpo acqua, fiocco e neve!
La parte iniziale della poesia contiene i dati più sensibili, quelli spettacolari per i quali è richiesta una forte affermazione dell’io grammaticale per meglio definire l’impatto tra l’io e l’oggetto dell’esperienza: l’atteggiamento che secondo Lacan definisce l’immagine fisica e delinea l’unità del soggetto.
Ma a dispetto di questa forte presa di posizione, l’io sembra oscillare da una posizione ricettiva alle caratteristiche dell’oggetto prima sospendendo la predicazione attraverso lunghi elenchi di sostantivi e proposizioni esclamative senza verbo (astrazioni astrificazioni formulazione d’astri assideramento, attraverso sidera e coelos assideramenti assimilazioni...) e successivamente proiettandosi nell’azione con una litania di verbi senza complemento (pungendo, aggiunge, saprei, direi...).
La conoscenza sembrerebbe dunque un’attività sperimentale, anche quella dell’io passa attraverso quella della... neve partendo da alcune osservazioni analitiche, logiche.
quante totalità: abbinare la quantità all’Uno è come pretendere, nella nostra storiella iniziale, che il fiocco capisca la neve. É solo alla fine del ciclo che l’acqua saprà d’essere goccia, fiocco, neve, ghiaccio e, nella ring –composition (Pronto. A chi parlo?), ricominciare daccapo.
La neve dunque come la psiche è un oggetto che è in sé una cosa, ma si compone di una pluralità di elementi (fiocchi, cristalli) ciascuno dei quali è in se una delle immagini della perfezione. Lo sguardo verso la neve si fa metafora di un percorso verso la conoscenza ma allo stesso tempo produce una oscillazione tra due poli opposti ma complementari: quello della contemplazione e quello della descrizione [vv. 1-10].

Nei versi successivi al decimo, quella disposizione del soggetto all’attività scientifica viene contenuta ( soffolcere; Dante la usava per descrivere l'azione del soffermarsi; Ariosto e Carducci lo usavano per descrivere il sostenere e il sollevare; infine, giornalisticamente e tecnicamente, viene usata come sinonimo di affiorante o sommerso) dalla presenza e dal movimento di elementi circostanti. Il poeta si lascia abbracciare; si lascia sostenere.
La conoscenza, scientifica nella prima parte, subisce una metamorfosi diventando identità del soggetto e dell’oggetto. La situazione enunciativa dei primi versi sembra rimodellarsi : il tema è sempre la celebrazione della neve ma al pronome, al linguaggio e baricentro della prima persona, subentra la prima persona plurale (ci soffolce). Questo riposizionamento rappresentativo (da io a noi, da io a tu) si accompagna all’immersione del soggetto in un paesaggio, in un ambiente che sempre più si profila come un soffice abbraccio, come una spinta erotica di una libido: c'è una immersione che è anche comunione fra soggetto, il tu e il paesaggio: il fiocco è attratto, si unisce alla, diventa neve!
La vera conoscenza è quella dell’assoluto: contraddizione in termini ma meravigliosamente rappresentata dal fiocco che per essere ab-solutus (libero da qualsiasi vincolo) si aggrappa agli altri fiocchi e poi si scioglie in-con essi![vv.11-25]

Nei versi successivi assistiamo all’epifania dell’Esperienza Poetica: il Poeta tematizza l'atto che ha condotto alla composizione del testo che stiamo leggendo e pare suggerire che: è vero, al suo apice l’uomo che scrive una poesia in piena libertà e in piena coscienza del perché e del come della sua opera, (acqua-fiocco-neve), crea un mondo ma il meccanismo di produzione della sua opera può essere ignorato dal poeta.
Da qui discende un uso metaforico del linguaggio (quello della comunicazione telefonica che viene interrotta): non pronto, chi parla? ma pronto, a chi parlo? E ancora da qui si apre la problematizzazione dello statuto della poesia: "a chi parlo, a chi parla il linguaggio che parla in me?"; sembra chieder(s|c)i il poeta [vv.25-36].
Socrate lo aveva anticipato chiamandolo, il poeta, un ispirato, uno strumento degli dei, uno sciamano.

Zanzotto in una sua intervista così definisce il poeta :

"...un personaggio bislacco, poco attendibile. Il suo stesso linguaggio fa parte della retorica e in quanto verità può essere dannosa. Oggi più che mai, tutti i poeti della mia generazione hanno dovuto fare i conti con la Filosofia, come ho già detto, i filosofi stessi si rivolgono ai poeti con deferenza. Ma nella poesia non basta l’emozione, condizione necessaria, c’è bisogno della passione pura. Il pericolo che vedo oggi è quello che ci si sieda in una specie di simulacro, finto, come fosse vero, senza la scossa della passione totale. Dopo l’incanto è venuto il disincanto, ma l’incanto tende sempre a riprodursi. Se la poesia conserverà un rapporto con l’incanto, potremo resistere alle strutture dell’Io. Incanto e canto, del resto, sono la stessa cosa; noi stessi diciamo di non avere più miti, ma vediamo una proliferazione di miti. C’è confusione di lingue, teorie e cosmologie; gli stessi poeti, nei loro scritti di poetica, tendono a gettare il velo su quella che è la loro poetica reale..."

E allora ecco la strada di de Renéville sulla quale incontriamo il nostro Zanzotto. Ci sono due tipi di poesia: una retta dall’attenzione e dalla piena coscienza (diremo una poesia intellettuale); l’altra retta dalla passione, dal delirio, dal sogno (una poesia inconscia). Entrambi però attengono alla conoscenza e poiché oggi più che mai, con le nuove scoperte della neurobiologia (vedi Edelman, Damasio, etc...), si fanno sempre più labili i confini tra meccanismi intellettuali e quelli fisiologici ed emozionali, il poeta in ogni caso sarà schiavo incosciente oppure il signore di quest(o|i) process(o|i) di conoscenza.
Queste due famiglie di poeti, anche se su strade diverse, raggiungono però la stessa realtà: l’unità , o come dice de Renéville, la risoluzione di ogni molteplicità. Ci sarebbero quindi poeti che fanno questo spingendo la loro attenzione fino ad illuminare l’intero cerchio della vita psichica e altri prevalentemente intenti a sopprimere un ipotetico centro di coscienza.
Evidentemente le due famiglie si sovrappongono perfettamente se questo sedicente io cosciente si riduce ad una illusione (rappresentazione , maya) che muta senza sosta.

Alla fine quindi è solo l’espressione verbale che potrà distinguere una famiglia dall’altra.
Il poeta di una famiglia parla di ciò che conosce (o che ritiene di conoscere) facendo rivivere nelle “immagini” quello che per lui è la realtà massima: cose, idee, tratti della natura umana e gli sforzi per conoscere tutto questo. Il poeta dell’altra famiglia invece ci mostra la sua battaglia contro le illusioni, lasciando parlare le sue passioni, le manie i suoi sensi per tenerli a freno o per rinchiuderli nella gabbia di una parola misurata.
Qui Zanzotto opera la sintesi di questi due percorsi che, potremmo quindi eleggere a definizione di Esperienza Poetica: poesia liberata da ogni necessità estranea al proprio fine che è un insieme di Conoscenza (acqua)-Libertà (fiocco)-Unità (neve).

E quando Zanzotto ci accompagna lungo questa strada lo fa come qualcuno che, da bambini, ci portava fuori dopo una copiosa nevicata per rinnovare l’incanto:

da semplici fiocchi, non avremmo potuto vivere completamente la nostra libertà, non avremmo potuto conoscere la Perfezione della neve.

Riferimenti
[1] – D. F. Wallace, Questa è l’acqua, Einaudi (2010)
[2] – L’esperienza poetica in R. Daumal , Poesia nera e poesia bianca, Castelvecchi (2014)
[3] – A. Zanzotto, La beltà, Mondadori (1968)

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